BONUS MAMME: NON TUTTE LE MAMME SONO UGUALI
La legge di bilancio 2024 ha introdotto a favore delle lavoratrici madri una misura di sostegno al reddito, il “Bonus mamme”. La misura prevede l’esonero dei contributi previdenziali (9,19% della retribuzione), per le lavoratrici che hanno almeno tre figli, fino a un massimo di €3000,00/annui). Per il 2024, in via sperimentale, il bonus è attribuito anche in presenza di due figli. L’agevolazione si applica ai rapporti di lavoro dipendente a tempo indeterminato, nei settori pubblico e privato, esclusi i rapporti di lavoro domestico. Le madri, in possesso dei requisiti a gennaio 2024, hanno diritto all’esonero a decorrere dal mese di gennaio. Nel 2025 e nel 2026, invece, il beneficio è assegnato dalla nascita del terzo figlio e si conclude con il compimento del diciottesimo anno dell’ultimo figlio. Questa misura, il cui intento è di grande valore, è già discriminatoria, poiché applicabile solo alle dipendenti a tempo indeterminato, escludendo ingiustamente le lavoratrici con contratti a temine, e pertanto precarie, quelle che a rigor di logica, dovrebbero essere più nella necessità di ricevere un sostegno economico dal proprio stato. La precarietà lavorativa, insieme alla difficoltà di tornare nel mondo del lavoro, e alla conciliazione di vita privata e vita lavorativa, sono già grossi malus da dover gestire per le donne madri lavoratrici. Gli incentivi alla genitorialità sono fondamentali in un paese come il nostro, dove la natalità è ai minimi storici, e ancor più importanti sono gli incentivi dedicati alle madri lavoratrici, specie tenendo conto dei costi elevati dei nidi. Detto ciò, escludere dagli aiuti le donne lavoratrici precarie sembra essere non solo un’ingiustizia ma anche in contraddizione rispetto all’intento della misura.